Per una moratoria della ricerca di idrocarburi nel Mediterraneo ?

Nuovi giaci­men­ti di petro­lio, e soprat­tut­to di gas, sono sta­ti scop­er­ti negli ulti­mi anni nel Mediter­ra­neo. La cresci­ta delle attiv­ità di esplo­razione e di sfrut­ta­men­to tut­tavia non è...

1189 0
1189 0

Nuovi giaci­men­ti di petro­lio, e soprat­tut­to di gas, sono sta­ti scop­er­ti negli ulti­mi anni nel Mediter­ra­neo. La cresci­ta delle attiv­ità di esplo­razione e di sfrut­ta­men­to tut­tavia non è sen­za con­seguen­ze sul­la bio­di­ver­sità, sen­za con­tare i rischi di marea nera in una zona di forte attiv­ità sis­mi­ca.

Tamar e Leviathan. Dal 2009 l’evocazione di questi due nomi scon­volge l’equilibrio regionale in mate­ria di risorse di idro­car­buri. Due giaci­men­ti scop­er­ti al largo del Libano e di Israele, in zone marit­time dal­la ter­ri­to­ri­al­ità con­tes­ta­ta. Lo sfrut­ta­men­to di Tamar è inizia­to nel 2013, ma bloc­ca­to sul lato di Leviathan. Israele ritiene che questo sia sit­u­a­to nel­la sua Zona eco­nom­i­ca esclu­si­va (Zee), cosa con­tes­ta­ta dal Libano. Il dossier è lon­tano dall’essere archivi­a­to. I due Pae­si cer­cano di lan­cia­re lo sfrut­ta­men­to ad ogni cos­to. Il Libano ulti­ma­mente ha pre­sen­ta­to un appel­lo alla pre­sen­tazione di offerte per l’attribuzione dei pri­mi bloc­chi.

Il mar Mediter­ra­neo tut­tavia non è stori­ca­mente un zona che inter­es­sa lo sfrut­ta­men­to petro­lif­ero off­shore. Sec­on­do un rap­por­to del Sen­a­to francese, pre­sen­ta­to nel 2011 in base alle val­u­tazioni dell’Istituto francese del petro­lio, si con­tano una deci­na di piattaforme di ricer­ca, prin­ci­pal­mente in Italia e in Egit­to, e 64 piattaforme di sfrut­ta­men­to di idro­car­buri in Italia, Tunisia e Lib­ia. Un numero rel­a­ti­va­mente esiguo rispet­to alle 15mila piattaforme cen­site nel mon­do, di cui 3600 nel Gol­fo del Mes­si­co.
Ques­ta man­can­za di inter­esse è spie­ga­ta dal­la pro­fon­dità delle risorse di idro­car­buri, che si trovano a diverse migli­a­ia di metri sot­to il mare. Per molti anni questo le ha rese quin­di inac­ces­si­bili per­ché le tec­niche non per­me­t­te­vano di rag­giunger­le.

Negli ulti­mi dieci anni tut­tavia, le ricerche effet­tuate al largo del Brasile e dell’Angola han­no dato nuo­vo respiro all’esplorazione petro­lif­era, met­ten­do il mar Mediter­ra­neo nel miri­no delle com­pag­nie petro­lif­ere, e soprat­tut­to di gas nat­u­rale. «In relazione con la ricer­ca nel deep off­shore al largo dell’Angola e del Brasile, le tec­niche attuali per­me­t­tono ora di andare incon­tro ai giaci­men­ti a 2000 o 3000 metri di pro­fon­dità sott’acqua», spie­ga Roland Vial­ly, ingeg­nere geol­o­go all’Istituto francese del petro­lio e delle nuove energie (Ifp­ne). Ter­ri­tori fino­ra sconosciu­ti ai mar­gi­ni dei con­ti­nen­ti sono oggi acces­si­bili.

Sot­to il sale, gli idro­car­buri
Per capire queste tec­niche, un cor­so base di geolo­gia è d’obbligo. Gli oceani si com­pon­gono di diverse serie sed­i­men­ta­rie. Sec­oli fa il con­ti­nente africano e dell’America del Sud si toc­ca­vano. Il mare allo­ra era chiu­so. Dal fenom­e­no dell’evaporazione, il sale si è deposi­ta­to e ha cre­ato un baci­no sal­if­ero poi ricop­er­to. «Fino agli anni dal 1990 al 2000 sot­to questo stra­to di sale non si vede­va niente», pre­cisa Roland Vial­ly, «Il sale face­va scher­mo e allo­ra era com­pli­ca­to e anche peri­coloso attra­ver­sare questo stra­to. Ma le tec­niche sono evo­lute». Sot­to questo stra­to di sale si sco­prono altre serie sed­i­men­ta­rie ric­che di idro­car­buri. Ma si trat­ta di un petro­lio defini­to «tec­no­logi­co», più caro e più dif­fi­cile da estrarre.

Nel Mediter­ra­neo questo stra­to di sale risale a 6 mil­ioni di anni fa, quan­do lo stret­to di Gibil­ter­ra era anco­ra chiu­so. Per analo­gia con le scop­erte fat­te in Brasile, il Mediter­ra­neo inter­es­sa di nuo­vo. Nel 2009 gli israeliani sco­prono il giaci­men­to di Tamar, quel­lo del Leviathan un anno più tar­di. In tut­to il baci­no del Lev­ante il poten­ziale è notev­ole. «Non mod­i­fi­ca il poten­ziale di gas mon­di­ale, ma cam­bia lo scac­chiere geopoliti­co nel­la regione». Per­ché i giaci­men­ti si trovano in un tri­an­go­lo insta­bile, tra Israele, Libano e Cipro, e i pri­mi due non riconoscono rec­i­p­ro­ca­mente la lin­ea delle fron­tiere delle rispet­tive Zee, Zone eco­nomiche esclu­sive.

Ques­ta scop­er­ta, che scon­volge l’equilibro delle risorse ener­getiche nel­la regione, fa anche temere una cat­a­strofe eco­log­i­ca di grande por­ta­ta. Tut­to il mon­do ha anco­ra in mente la cat­a­strofe di Deep­wa­ter Hori­zon, nel Gol­fo del Mes­si­co, nel 2010. Sfrut­ta­to dal­la com­pag­nia petro­lif­era British Petro­le­um nel­la zona eco­nom­i­ca esclu­si­va degli Sta­ti Uni­ti, si trat­ta del più pro­fon­do poz­zo off­shore. La piattafor­ma esplode il 20 aprile 2010, ucci­den­do 11 per­sone e innes­can­do una marea nera di gran­di dimen­sioni con una perdi­ta sti­ma­ta di oltre 780 mil­ioni di litri di petro­lio.

Crédit Marc Delforge, pol­lu­tion aux hydro­car­bu­res, 7 avril 2014. Licence Cre­ative Com­mons https://creativecommons.org/licenses/by-nc/2.0/ Foto : Marc Delforge, inquina­men­to da idro­car­buri, 7 avril 2014. Licence Cre­ative Com­mons https://creativecommons.org/licenses/by-nc/2.0/

Ris­chio di marea nera, inquina­men­to sonoro e lumi­noso
Ques­ta cat­a­strofe eco­nom­i­ca, umana ed eco­log­i­ca che colpì più di 400 specie, ha seg­na­to Olivi­er Dubuquoy, a capo del movi­men­to Nation Océan, che si mobili­ta con­tro l’esplorazione e lo sfrut­ta­men­to d’idrocarburi nel Mediter­ra­neo. «Se un inci­dente sim­i­le suc­cedesse nel Mediter­ra­neo, met­terebbe in peri­co­lo in modo duraturo l’intero baci­no di questo mare chiu­so, le cui acque ci met­tono qua­si un sec­o­lo a rin­no­var­si». Tan­to più che, sec­on­do il rap­por­to del Sen­a­to pre­sen­ta­to nel 2011, la cat­a­strofe di Deep­wa­ter Hori­zon non è iso­la­ta: « Da una trenti­na d’anni si sono cen­si­ti dieci inci­den­ti gravi di cui la metà ha dato luo­go a delle maree nere».

Nel novem­bre 2009, sei mesi pri­ma dell’esplosione nel Gol­fo del Mes­si­co, nel Nord dell’Australia esplode­va la piattafor­ma West Atlas, generan­do una marea nera di 30mila ton­nel­late di sver­sa­men­to, prin­ci­pal­mente sulle coste indone­siane. Un’eventuale dis­per­sione di idro­car­buri, che sporca le spi­agge e inquina le acque, avrebbe degli effet­ti nefasti sull’attività tur­is­ti­ca così come sul­la pesca arti­gianale o indus­tri­ale, spie­ga la dot­toran­da all’Università Aix-Mar­seille Clio Bouil­lard in un arti­co­lo pub­bli­ca­to sul sito The Con­ver­sa­tion. Ricor­da anche che British Petro­le­um ha dovu­to pagare cinque mil­iar­di di dol­lari per «com­pen­sare les con­seguen­ze eco­nomiche» del­la cat­a­strofe di Deep­wa­ter Hori­zon.

Il numero con­tenu­to, benché in costante cresci­ta, di piattaforme off­shore pre­sen­ti nel Mediter­ra­neo, non farebbe quin­di pas­sare in sec­on­do piano gli effet­ti dell’esplorazione sul mare. I can­noni ad aria han­no effet­ti nocivi sug­li esseri viven­ti e sui sen­si dei ceta­cei, in par­ti­co­lare per il rumore. L’inquinamento sonoro e lumi­noso delle piattaforme, dis­ori­en­ta gli ani­mali, che allo­ra fug­gono dalle zone di esplo­razione. Infine sono gli sver­sa­men­ti quo­tid­i­ani di varie sostanze, dovu­ti al nor­male fun­zion­a­men­to di una piattafor­ma, o con­seguen­ze di inci­den­ti minori, a inquinare le acque. Olivi­er Dubuquoy rias­sume: «Le per­forazioni dis­trug­gono l’ecosistema. Tan­to che nel Mediter­ra­neo avven­gono in zone molto pro­fonde e molto ric­che».

A questo inquina­men­to vis­i­bile va aggiun­to un effet­to più noci­vo: «Queste materie, una vol­ta con­su­mate, con­tribuis­cono al riscal­da­men­to cli­mati­co. Gli oceani sono più cal­di. La bio­di­ver­sità scom­pare. In 40 anni, il 58% degli indi­vidui per specie sono scom­par­si», aller­ta il pres­i­dente di Nation Océan. Per lim­itare il riscal­da­men­to cli­mati­co, esper­ti, soci­età civile e popo­lazioni autoc­tone sono d’accordo sul­la neces­sità di las­cia­re l’80% delle fonti fos­sili sepolte nel suo­lo. In un rap­por­to sci­en­tifi­co data­to 2015, il Giec (Groupe d’ex­perts inter­gou­verne­men­tal sur l’évo­lu­tion du cli­mat) e l’Agenzia inter­nazionale dell’energia, annun­ci­a­vano che per lim­itare il riscal­da­men­to a 2 gra­di era nec­es­sario las­cia­re inuti­liz­zate un ter­zo delle ris­erve di gas e di petro­lio e l’80% del car­bone.

Una battaglia giuridi­ca
Di fronte a ques­ta con­sid­er­azione, Nation Océan e altre asso­ci­azioni del­la soci­età civile si mobil­i­tano per evitare ogni nuo­va esplo­razione nel Mediter­ra­neo. La sfi­da di Davide con­tro Golia, di fronte alla poten­za delle com­pag­nie petro­lif­ere? Non pro­prio, sec­on­do Olivi­er Dubuquoy: «Siamo rius­ci­ti a bloc­care ogni doman­da di per­me­s­so con­tro la quale ci siamo mobil­i­tati, in questi ulti­mi tem­pi». Il lavoro di sorveg­lian­za è min­uzioso: «Più ci si muove presto, mag­giori sono le pos­si­bil­ità di fer­mare le domande di esplo­razione». Ulti­ma vit­to­ria in ordine di tem­po al largo del­la Sicil­ia. Il Gov­er­no ital­iano il 3maggio ha annun­ci­a­to che dava parere neg­a­ti­vo al prog­et­to di prospezione di idro­car­buri al largo del­la Cor­si­ca e del­la Sardeg­na, deposi­ta­to dal­la com­pag­nia norveg­ese TGS NOPEC. Vit­to­rie che dan­no ali a queste attiv­ità: «Per mirare in alto bisognerebbe lib­er­are l’intero Mediter­ra­neo occi­den­tale. Alcune asso­ci­azioni unis­cono le loro forze tra Fran­cia, Spagna e Italia. La pri­ma sfi­da è di fed­er­are la soci­età civile per poi con­vin­cere i politi­ci». Una battaglia caso per caso quel­la sull’esplorazione e lo sfrut­ta­men­to d’idrocarburi off­shore, spie­ga­bile dal­la leg­is­lazione in vig­ore: «La poten­ziale grav­ità degli inci­den­ti sulle piattaforme riman­da all’attuale flessibil­ità dell’inquadramento giuridi­co del loro sfrut­ta­men­to, a strut­ture di deci­sione in caso di inci­dente, al divario che esiste tra il pro­gres­so delle triv­el­lazioni e il pro­gres­so asso­ci­a­to alla sicurez­za del­lo sfrut­ta­men­to e all’età di cer­ti impianti. Un’attività giuridi­ca poco inquadra­ta dal dirit­to inter­nazionale», si legge nel rap­por­to del Sen­a­to francese. E si ricor­da, nel­la sua con­clu­sione: «Il Mediter­ra­neo res­ta una zona sis­mi­ca atti­va. Esiste, a questo tito­lo, un doppio ris­chio: quel­lo lega­to ai movi­men­ti tet­toni­ci e quel­lo lega­to alla poten­za delle onde che muovono dal fon­dale, di even­tu­ali tsuna­mi».

Traduzione : Silvia Ricciardi

Foto in alto: Flickr, Anna, 28 avril 2011, sabbia, acqua e idrocarburi. Licence Creative Commons https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.0/

In this article