Mare fangoso, sparizione dei pesci, abitanti malati: le conseguenze dell’inquinamento da fosfati sono numerose in Tunisia. Di fronte all’immobilismo delle autorità, le associazioni tentano di mobilitare la città.
«Siamo uno dei rari posti al mondo dove il mare si ritrae anziché avanzare: la spiaggia ha guadagnato 100 metri», dichiara subito Nader Chkiwa, attivista dell’associazione per la protezione dell’oasi di Chott Essalam, alla periferia di Gabès, nel sud della Tunisia.
Nader non sta facendo promozione alla spiaggia di Chott Essalam, ma si sta piuttosto allarmando del livello di inquinamento generato dalla fabbrica del Gruppo chimico tunisino (Gct). «Si stima che ci sia uno strato di sei metri di fosfogesso nella baia», aggiunge calmo.
Installatasi nel 1972, la fabbrica del Gct, proprietà dello Stato tunisino, è specializzata nell’arricchimento e la trasformazione del fosfato, proveniente dalla regione di Gafsa, in acido fosforico e in fertilizzanti chimici destinati principalmente all’agricoltura e ampiamente esportati. Oltre alle emissioni aeree estremamente nocive, i residui di questa attività sono molto ingombranti. La produzione di una tonnellata di acido fosforico genera cinque tonnellate di residui, chiamati “fosfogessi”. Quest’argilla nerastra, carica di metalli pesanti e leggermente radioattiva, è direttamente scaricata in mare. Da oltre 45 anni se ne sversano quotidianamente quasi 12mila tonnellate nella baia di Gabès.
«Non c’è più niente da pescare»
Al porto di pesca della città, gli scafi colorati e le reti stese sulle banchine sembrano fossilizzati sotto il sole pesante di giugno. A un centinaio di metri, il cantiere per prolungare la diga che separa le barche dalla spiaggia contaminata, già lunga più di un chilometro, suscita curiosità. Una barca accostata al porto, che si risveglia timidamente. Alcune persone sono arrivate a recuperare i frutti della pesca. Ahmed, 53 anni, pescatore e agricoltore di Chott El Salem, si diverte a mostrare il piccolo squalo che ha pescato. Ma quel sorriso nasconde una realtà molto più complicata. «Ora si va a pescare al largo di Zarzis e Gerba, sprecando tonnellate di gasolio», racconta afflitto lanciando lo squalo e incrociando le braccia. «Prima il mare era molto ricco di pesci costieri. Polpi, sardine, gamberetti, tutto quel che si può desiderare». Il golfo di Gabès è una regione conosciuta per la sua eccezionale biodiversità marina, dovuta in particolare ad acque profonde e un’ampiezza di marea tra le più elevate nel Mediterraneo.
«Non è più il nostro mare, ─ lamenta il pescatore puntando il mare marrone cioccolato dall’altro lato della diga ─. Prima era un mestiere facile. Si usciva il mattino e si rientrava con tonnellate di pesce. Spesso si doveva buttare. Adesso non c’è più niente da pescare a causa del fosfogesso». Anche la sua attività agricola va a rilento. «Le colture sono danneggiate. La zona industriale usa molta acqua dolce per il processo di filtrazione del fosfogesso, ma anche per il suo smaltimento in mare. Per questo gli agricoltori dell’oasi non hanno più acqua» spiega Nader Chkiwa.
La sua associazione ha organizzato molte manifestazioni, marce, lanciato petizioni e numerose campagne che mirano a sensibilizzare la popolazione e a fare pressione sullo Stato. «È vitale per noi, perché si vive quotidianamente una catastrofe», spiega il giovane. Questione tabù sotto Ben Ali, l’inquinamento è un tema di cui tutti parlano dopo la rivoluzione del 2011. Si sono create numerose associazioni a Gabès e dintorni perché le cose si muovano.
Realizzazione di discariche o interramento del fosfogesso per fermare gli scarichi in mare, valorizzazione del fosfogesso, unità di lavaggio dei gas, unità di dissalamento dell’acqua di mare per non usare più l’acqua delle falde freatiche… Molte promesse sono state fatte dal Gct e dalle autorità, sempre per l’anno successivo. Ma ad oggi niente è stato fatto per fermare questo flagello. «Prima della rivoluzione se ne parlavi morivi. Adesso se ne parlerà fino alla nostra morte» ironizza Nader.
Chiamata allo sciopero generale
Diverse associazioni della società civile della cittadina, riunite sotto il collettivo Sakr El Masb [Chiudi il condotto] dall’iniziativa di Nader Chkiwa, hanno lanciato il 20 febbraio una chiamata allo sciopero generale per il 30 giugno 2017, chiedendo di fermare lo scarico di fosfogesso nel mare, a costo di fermare loro stessi l’evacuazione e di bloccare l’intero complesso industriale. Khayreddine Debaya, uno dei coordinatori del movimento Stop Pollution, vaga per le strade di Gabès in scooter per perorare la sua causa. Questo movimento, affiliato alla sezione di Gabès della Lega tunisina dei diritti dell’uomo è in prima linea dal 2012 nella battaglia contro l’inquinamento. Organizzatori abituali della marcia del 5 giugno, giornata mondiale dell’ambiente, dal 2012, questa volta se ne sono un po’ distaccati. Al di là di questo, durante tutto il mese di giugno, l’obiettivo è di organizzare dei forum e di raccogliere firme per fare pressione contro l’immobilismo delle autorità.
«È una questione-chiave qui, e le diverse correnti politiche se ne interessano. Con le elezioni municipali in vista (previste per dicembre 2017), è ancora di più il caso. Con Stop Pollution cerchiamo di uscire da questa situazione e di creare un movimento popolare che abbia il sostegno di tutti», spiega l’attivista dalle sembianze di Che Guevara.
Stop Pollution lancia la sua campagna di forum a Bouchemma. Altro borgo vicino al complesso chimico, è colpito soprattutto dalle emissioni di gas — ammoniaca, diossido di zolfo — della fabbrica del Gct. In questa notte del 4 giugno, mentre i camini fumano in lontananza, Khayreddine Debaya e gli attivisti di Stop Pollution incontrano un gruppo in sit-in davanti al cantiere di una nuova unità di trattamento di gas in costruzione nella zona industriale. L’obiettivo è di mettere in luce i problemi che incontrano gli abitanti, raccogliere delle testimonianze e tentare di mediatizzarle.
Le persone si esprimono a turno. I presenti denunciano l’inquinamento reclamando assunzioni nella zona industriale per gli abitanti di Bouchemma. Il Gct è l quinta impresa di Tunisia, con un giro d’affari di 540 milioni di euro e impiega 3700 persone nel suo sito di Gabès. L’atmosfera è elettrica. Una ragazzina prende il microfono. «Questa mattina eravamo in aula a studiare. Diversi compagni hanno iniziato a sentirsi male». Dall’alto dei suoi 9 anni Chatha parla con sicurezza e con particolare forza. È venuta a testimoniare insieme ad altri bambini. Il 4 maggio un rilascio di ammoniaca da parte del Gct in pieno giorno arriva alla scuola della cittadina, causando problemi respiratori a numerosi allievi. Anche Chatha ha sofferto di una crisi d’asma acuta. «Il professore è caduto a terra, il direttore ci ha messo troppo tempo a reagire». Le ambulanze non arrivano, e sono quindi i genitori degli allievi che si mobilitano d’urgenza per portare gli allievi colpiti all’ospedale. L’ospedale propone la terapia abituale: un’ora sotto ossigeno per i bambini. Nessuna diagnosi e una semplice giustificazione d’assenza per gli scolari.
L’OpenData per censire le patologie
Impossibile trovare un’indagine epidemiologica sulla zona di Gabès. «La catastrofe del fosfogesso è anche la sua radioattività e i suoi effetti sulla salute. Si sono constatate molte patologie che possono essere legate alla radioattività: malformazioni, diversi tipi di cancro, problemi di fertilità. E le emissioni di gas aggiungono i problemi respiratori», constata con amarezza Nader Chkiwa. Fino a tempi recenti i bambini facevano il bagno nel mare di Chott Essalam, venendo direttamente a contatto col fosfogesso. «Soltanto tre anni fa lo Stato ha ufficialmente riconosciuto che la balneazione era vietata». L’associazione lavora anche al censimento delle patologie, ma manca di mezzi. Nader spera di poterlo rilanciare con l’aiuto di strumenti collaborativi scoperti durante un laboratorio con degli attivisti dell’OpenData.
Il 5 giugno il collettivo di associazioni Sakr El Masb ha organizzato la sua quinta manifestazione dalla chiamata allo sciopero. Qualche centinaio di persone è sceso per le vie di Gabès fino alla sede della Compagnia Tunisina dei Fosfati. Khayreddine Debaya e Nader Chkiwa vi partecipano anche se sono su posizioni più radicali. «Bisogna smantellare lo stabilimento e metterlo in una zona dove non c’è il mare o abitazioni contigue», spiega il coordinatore di Stop Pollution. «Aspettiamo il prossimo annuncio», bisbiglia l’attivista di Chott Essalam. Se l’interruzione degli scarichi di fosfogesso nel mareper loro non è altro che una tappa, hanno deciso di essere presenti perché la mobilitazione della popolazione resta essenziale dopo essere stati ampiamente scoraggiati dalle promesse non mantenute. «Tutti a Gabès devono essere solidali, con una visione comune che è lo smantellamento della zona industriale, e non solo della fabbrica Gct. Ci sono più di 20 stabilimenti inquinanti nella zona», commenta Nader Chkiwa, consapevole che la battaglia è ben lontano dall’essere vinta. Di una sola cosa è certo «Gli abitanti hanno pagato abbastanza».